Il Tour de France si avvicina ed è pronto a festeggiare i 100 anni della maglia gialla. Per celebrare la ricorrenza Le Coq Sportif ha organizzato una tre giorni sui Pirenei centrali a cui hanno partecipato i membri dei suoi cycling club francese, spagnolo e italiano. Con il Team Italia, capitanato da Marco Aurelio Fontana, ho avuto il piacere di esserci anche io.
Venerdì dopo un lungo viaggio che da Barcellona ci ha portato in furgone a Saint-Lary-Soulan, nel dipartimento degli Alti Pirenei, abbiamo scaldato le gambe sul Montée d’Ilhan. Un giro di 35 km con 800 mt di dislivello ci ha permesso di prendere confidenza con le Canyon messe a disposizione da Thomson Bike Tours, ottimo tour operator americano che si è occupato dell’organizzazione logistica di questa breve ma intensa avventura, e di sfoggiare i capi che Le Coq Sportif produce per i campioni che guidano le classifiche della Grande Boucle.
Dopo cena, il vincitore del Tour 1988 Pedro Delgado nel meeting con tutti i partecipanti, una quarantina in totale tra testimonial, influencer e giornalisti, ha dettato la linea per il giorno successivo: Estamos unidos. Il menù prevedeva oltre 100 km e 3.000 mt di dislivello, l’obiettivo era divertirsi e arrivare tutti al traguardo, ma come potete immaginare quando si ha a che fare con persone che hanno l’agonismo nelle vene… la tattica della vigilia è irrimediabilmente saltata al mattino seguente. Altro che restare uniti e andare tranquilli, ognuno per sé e si salvi chi può.
Se il profilo della tappa che ci aspettava era già parecchio impegnativo, il maltempo che ci ha salutato una volta aperte le finestre ci ha fatto capire che sarebbe stata una sfida estrema. Almeno per la sottoscritta e gli altri membri del “gruppetto”.
Dopo una ricca colazione, sotto la pioggia abbiamo scalato il Colle d’Aspin dal versante est, che parte da Arreau, ed è il più duro. 12 km con un dislivello di 779 m per una pendenza media del 6,5% con gli ultimi 5 che si impennano all’8%. Come sulle altre salite che ci aspettavano, ad ogni chilometro erano posti dei cartelli, che indicano l’altezza della cima, la distanza dalla cima, l’altezza corrente e la pendenza media del chilometro successivo. Informazioni utilissime per gestire le forze su queste pendenze da paura.
Dopo l’Aspin è giunta l’ora del Col del Tourmalet, che ha ospitato per la prima volta il Tour già nel 1910, quando Octave Lapize che giunse per primo in cima si rivolse agli organizzatori dando loro degli assassini. «Vous êtes des assassins! Oui, des assassins!». Una salita mitica che in una ventina di chilometri porta a 2.115 m s.l.m. In quasi due ore di scalata in solitaria, tra la nebbia che non permetteva di vedere nulla e gli incoraggiamenti in tutte le lingue del mondo (Bon courage!, Aupa!, Dai! andavano per la maggiore, ndr) degli altri pazzi incrociati in sella mi sono trovata a pensare a quanto masochisti siano i ciclisti, a quanto sia stupendo lo sport che ti permette di metterti alla prova e di superare i tuoi limiti e di quanto preziosa sia la bicicletta, che ci permette di raggiungere luoghi meravigliosi e conoscere persone provenienti da ogni angolo del pianeta, con cui si diventa presto amici perchè la fatica condivisa unisce.
Arrivata in cima, super soddisfatta anche se il mio tempo di ascesa è più del doppio rispetto a quello dei professionisti, foto di rito per immortalare il momento e via in discesa cercando di non congelarmi. A pranzo ho ritrovato i miei “compagni di squadra”, che a proposito di stare uniti chiaramente erano già con le gambe sotto il tavolo da un pezzo. Dopo un quanto mai necessario cambio di abiti ed esserci rifocillati, con chi non ha tirato i remi in barca, sono ripartita alla volta dell’ultima asperità di giornata: Hourquette D’Ancizan. 10 km al 7.5 % di pendenza media e 11.2 % di massima. Bellissima, se non fosse per il peso sullo stomaco per quanto mangiato e il meteo implacabile che ci ha permesso solo di intravedere il panorama che deve essere stato mozzafiato. In vetta ultima foto di giornata e via di nuovo in discesa per l’ultima gelata prima di una doccia calda. Alla sera festa meritata per tutti, da chi ha vinto (non era una gara, ma tra cugini francesi, spagnoli e italiani bisogna stilare una gerarchia…), vale a dire il Prorider della Scuderia Fontana, a chi ha salvato la maglia nera, io. L’ho puntata perché sfina, non per altro.
L’ultimo giorno, con le gambe belle dure e finalmente il sole sopra di noi, abbiamo domato il Col de Portet, che si trovava davvero a due passi dal nostro hotel. Potevamo tornare a casa senza affrontarlo? Ovviamente no. Anche se il mio orologio Garmin mi consigliava di riposare per 54 ore mi sono sparata altri 1.400 mt di dislivello in soli 34 km. Una salita eterna, mai ne avevo affrontata una così lunga e dura. Scalarla praticamente in assoluta solitudine, sulla mia strada ho incontrato solo qualche pecora e qualche mucca, è stato quasi mistico. Faticoso ma bellissimo.
In tre giorni con Marco, Gabriele, Mirco, Alessandro e il resto della banda de Le Coq Sportif cycling club abbiamo macinato 5.200 mt di dislivello (per le tracce fate un salto sul mio profilo Strava) e ci siamo divertiti da matti. Alla prossima galletti!
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